Descrizione
Risalgono al IX secolo le prime notizie certe di un’originaria chiesa nella zona, ma è molto verosimile che la data di fondazione si debba ricercare molti secoli prima. Era un luogo di culto dedicato a Santi Pietro e Paolo, governata dal ricco monastero benedettino della città, che possedeva gran parte del Borgo e vantava una significativa indipendenza dal vescovato riminese e una speciale tutela da parte della Sede Apostolica.
L’orgoglio indipendentista di questa confraternita e di tutto il suo seguito si ritrova nella leggenda di San Giuliano, mirabilmente narrata da Bitinio da Faenza in un polittico del 1409, oggi collocato nella terza cappella sinistra all’interno della chiesa.
Si tramanda, infatti, che il giovane martire istriano (231-249) sia stato trucidato dai pagani romani per la sue fede e che sia stato gettato in mare dentro un sacco pieno di serpi. Per volere divino le sue spoglie spiaggiarono sull’Isola di Proconnesso, in Turchia, dove gli si dedicò sugli scogli un una tomba. Passarono sei secoli e nel 957 la roccia su cui riposava il santo si sgretolò, facendo finire in mare il sarcofago. Miracolosamente, nel 962, la pietra giunse sulle sponde di Rimini, dove subito accorse tutta la cittadinanza. Il vescovo non riuscì ad aprire il coperchio dell’arca, che invece si mosse solo con l’intercessione del capo benedettino del Borgo al di là del Marecchia. Così la confraternita si impossessò delle sacre spoglie e della bara di pietra, portandole nella chiesa di San Pietro e Paolo, che da allora venne dedicata anche a San Giuliano.
Il culto del Santo si diffuse e crebbe in tutta la città, tanto da far diventare Giuliano uno dei patroni di Rimini, nonché il protettore dell’intero Borgo, che nel XIII secolo prese il suo nome, cosa che fece anche la chiesa di San Pietro e Paolo.
Dopodiché l’abbazia passò per circa un secolo agli Abati commendatari e finalmente giunse, nel 1496, nelle mani dei Canonici veneziani di San Giorgio in Alga. La chiesa grazie a loro fu completamente ristrutturata, tra il 1515 e il 1553, e assunse l’attuale aspetto.
Esternamente la solenne facciata è coronata da un timpano con fregio dorico, sorretto da quattro lesene giganti. Internamente, invece, l’unica navata, coperta a botte, si apre su otto cappelle laterali, illuminata soffusamente da poche finestre sul fianco destro e dalla bifora sulla facciata. Questo gusto limpido e razionale, che i Canonici portarono da Venezia, venne contaminato solo nel 1934, dai decori finto-barocchi, eseguiti dal pittore bolognese Mario Roversi.
I presbìteri di San Giorgio in Alga furono attenti anche nel commissionare le opere pittoriche. Da Venezia fecero giungere la pala di Pietro Ricchi “La consegna delle chiavi a San Pietro” (1649, I cappella SX), da Bologna “L’Annunciazione” di Giovanni Andrea Sirani (1650 ca., III cappella DX), da Ravenna la “Pala con Santa Lucia, Sant’Agata e Sant’Apollonia” di Giovan Battista Barbiani (1650 ca., I cappella DX).
Certamente l’opera che più rese e rende prestigiosa la chiesa è però la pala “Il martirio di San Giuliano”, uno degli ultimi lavori di Paolo Veronese (1588). Il genio veneto, com’era uso, ideò la scena su due piani: in alto dialogano i due antichi protettori della chiesa, San Pietro e San Paolo, con la Madonna, protettrice dei benedettini; mentre in basso, in un’atmosfera concitata e teatrale, il martire sta ricevendo il castigo romano, sostenuto nella fede da sua madre Asclepiodora.
Il capolavoro trova degno posto nell’abside, incorniciato da una splendida ancona lignea dorata, che completa un magnifico coro con cantorie, anch’esso in legno intagliato e dorato, e un organo risalente al 1621. In questa ricca struttura, successivamente, vennero collocate, ai lati del Veronese, due tele di Pasquale Ottino (1625), ritraenti i santi protettori dei Canonici: San Giorgio e San Lorenzo Giustiniani.
Nel 1668 i Canonici vennero sciolti e la chiesa ritornò ad essere abbazia secolare fino al 1681, quando passò sotto i Benedettini Cistercensi. Questi continuarono ad arricchire l’edificio con opere pittoriche, quali: il “Miracolo di San Mauro” di Francesco Mancini (1730, II cappella DX) e la “Pala con San Benedetto, Santa Scolastica e Santa Gertrude” di Bernardino Chioppi (1736, II cappella SX).
Infine, con la soppressione napoleonica del 1797 il monastero venne venduto a privati, mentre la chiesa fu riconfermata col titolo di parrocchia di San Giuliano.